Luca De Michelis e i 60 anni della Marsilio: «Io, mio padre Cesare e Venezia»

Domenica 20 Febbraio 2022 di Paolo Navarro Dina
Luca De Michelis e il padre Cesare

«I sessant'anni sono un'occasione importante per la memoria del percorso fatto e l'immaginazione di quello da fare.

Marsilio è nata dal desiderio di un gruppo di amici appena laureati - tra i quali mio padre, Cesare, che ne ha preso la guida - di fornire gli strumenti culturali necessari ad innescare una riforma del Paese. Da allora abbiamo fatto molto e oggi possiamo dirci orgogliosi di ciò che è Marsilio. Se guardo al futuro, me lo auguro gioioso. Festeggiamo sessanta anni e, in questa importante ricorrenza senza mio padre, vorrei celebrare chi lavora e ha lavorato in una casa editrice che è stata guidata da un signore, Cesare che, insieme ad Emanuela, le ha dato forma e senso. Così quel sogno di giovani neolaureati è diventata una squadra che alimenta, giorno per giorno, l'identità di un'azienda». Sessant'anni sono passati dalla nascita di Marsilio. Sessant'anni di cultura, più di mezzo secolo di libri. Dopo l'anteprima nazionale de Le Baruffe di Giorgio Battistelli con la regia di Damiano Michieletto, Luca De Michelis, amministratore delegato della Marsilio, fa il punto sull'identità della casa editrice.


De Michelis, non deve essere stato facile prendere le redini di Marsilio dopo la scomparsa del professor Cesare.
«Né facile né difficile, ma in qualche modo naturale. Vengo da un'altra storia, il mio percorso professionale è cominciato nella finanza, ma è vero che ho respirato libri fin da bambino. Ho tutti i vantaggi dell'essere figlio d'arte... ma ho dovuto capire prima di tutto se volevo fare davvero questo mestiere, e poi se avevo un'idea chiara di come fare l'editore, come avrei interpretato il modello che mi aveva lasciato mio padre, un signore complicato da sostituire, una figura di editore novecentesco, che sceglieva i libri e costruiva l'identità della casa editrice. Marsilio è l'emanazione di una personalità eclettica come quella di mio padre».


Quindi Venezia davanti a tutto?
«Venezia è un luogo che ti mette al centro di moltissime opportunità. E se hai capacità, visione e intelligenza, tutto diventa straordinario. È senz'altro una città periferica rispetto a Milano, sede della grande editoria, ma è proprio questo essere periferica a darle forza. È ineguagliabile».


Quando ha compreso che questo mestiere le era piombato addosso?
«Quando ho capito che avevo la possibilità e la voglia di proseguire il lavoro di mio padre. Identità significa mantenere legami forti con quella che era l'impostazione della casa editrice: una visione anti-ideologica, accogliente, con voci dissonanti e diverse. Cesare è stato molto coraggioso e specie nel clima attuale dobbiamo tenere alta l'attenzione contro il perbenismo prevalente».


Cosa la spaventa?
«La cancel culture, un fenomeno che ha radici comprensibili, ma che si declina in manifestazioni pericolose. La più grande conquista della modernità è la libertà di pensiero e di espressione. Quando viene messa in discussione, si compie un errore. Il fervore nei confronti di una cultura dominante mi spaventa, così come affermazioni come questo non si può dire, questo non si può fare, questa statua dobbiamo spostarla...».


Colpa della pandemia?
«La pandemia è stata un evento unico nella storia. Il mondo ne è stato sconvolto. Ci ha reso tutti protagonisti dello stesso presente. Di fronte a un'angoscia paralizzante, ci ha posto una sfida ulteriore: essere propulsivi, dare impulso e sviluppo ai nuovi progetti».


E come casa editrice ha funzionato?
«La scelta di entrare nella galassia Feltrinelli ha fatto crescere Marsilio, perché piccolo non è bello. E tutto ha funzionato anche molto meglio di quanto ci si aspettava. Le sinergie di gruppo ci hanno consentito di lavorare con la responsabilità di una professione che non è solo stampare e pubblicare libri».


È in questo momento che nasce Marsilio Arte?
«Sì, Marsilio Arte, che nasce dall'esperienza più che ventennale della casa editrice nel settore dell'arte, è una società interamente dedicata alla progettazione e realizzazione di mostre e iniziative culturali, alla gestione di bookshop e servizi per musei e siti espositivi, all'ideazione e produzione di libri e cataloghi. Credo fortemente che l'economia culturale sia molto connessa ai luoghi e alla volontà di realizzare partnership durature per sviluppare progetti mirati alla valorizzazione di un rapporto con il suo territorio: qualcosa che resti e che arricchisca il luogo stesso con nuovi spunti, sinergie e prospettive di crescita».


E quindi il quartier generale non può che essere Venezia?
«Venezia è un elemento di forza, è la capitale del contemporaneo. Questa città soffre della sindrome da palcoscenico, ma non sempre viene scelta come luogo per costruire. E invece credo si debba puntare sulla nostra città per investire nell'arte, nella cultura, nella scienza, nella tecnologia e nell'innovazione. Un segnale può essere la proposta di capitale mondiale della sostenibilità».


La politica può aiutare?
«Potrebbe fare di più, ma la centralità di Venezia non è dovuta a fattori politici. Se pensiamo ad esempio alla Silicon Valley, non si è certo sviluppato per un impulso che veniva dalla politica. Venezia ha una caratteristica: è unica ed extraterritoriale. Gli americani la sentono loro, i cinesi pure, i francesi anche. Venezia cresce se ha la capacità di rafforzare i suoi legami con il resto del mondo, altrimenti diventa un museo a cielo aperto».


 

Ultimo aggiornamento: 21 Febbraio, 11:00 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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