Padova. Pestaggio dell'avvocato Longo, il racconto dei due aggressori: «Era armato, abbiamo avuto paura di morire e ci siamo difesi»

Giovedì 21 Dicembre 2023 di Serena De Salvador
Padova. Pestaggio dell'avvocato Longo, il racconto dei due aggressori: «Era armato, abbiamo avuto paura di morire e ci siamo difesi»

PADOVA - Il pestaggio? Una risposta alla vista della pistola, dettata dal timore per la propria incolumità. La vittima? Una persona che non avevano mai visto né conosciuto. L'udienza di ieri del processo per l'aggressione all'avvocato Piero Longo, avvenuta la sera del 30 settembre 2020, ha visto testimoniare i due imputati: il 52enne Luca Zanon e la 50enne Silvia Maran, fidanzati all'epoca dei fatti.

Un giorno «atteso da tre anni per poter raccontare la loro verità in un processo in cui si sono sempre considerati la parte lesa» hanno commentato la loro legale Cinzia Ulmiri.

LE VERSIONI

In aula c'erano gli imputati (avvocati Ulmiri, De Simone e Zazza) e l'avvocato Longo, parte civile difeso dalla collega Anna Desiderio. Davanti al giudice monocratico Vittoria Giansanti, Zanon e Maran (accusati di lesioni gravi, porto abusivo di arma e violazione di domicilio) hanno risposto alle domande del pm Roberto D'Angelo e all'esame degli avvocati, fornendo le loro versioni su quanto accaduto e sui motivi dell'aggressione. La coppia, inchiodata da un video, non ha mai negato il pestaggio. Ma ha ribadito che quella sera erano arrivati sotto casa Longo, in riviera Tiso da Camposampiero, solo per accompagnare un'amica che dall'avvocato voleva un chiarimento, sostenendo di essere passati alle mani a fronte di un atteggiamento aggressivo del Longo stesso, sceso in strada armato di pistola (legalmente detenuta). Oltre alla dinamica degli eventi il pm e l'avvocato Desiderio hanno voluto approfondire il legame di Zanon e Maran con la donna (all'epoca trentunenne) che quella sera era con loro, prosciolta in udienza preliminare e in attesa dell'Appello.

LE DICHIARAZIONI

«Quella ragazza l'avevo forse intravista una volta prima di quella sera ha spiegato Zanon. Lei vedeva la mia compagna un po' come una sorella maggiore, una confidente per le sue pene d'amore, ma non avevano un rapporto stretto. Il 30 settembre abbiamo preso un aperitivo, poi è venuta a casa nostra e piangeva a dirotto. Ho sentito che si confidava con Silvia e intuito che parlasse di un fidanzato o qualcosa di simile, ma volevo restarne fuori. Quando ha detto di voler andare a casa di quest'uomo anche se erano le 23 Silvia mi ha chiesto di accompagnarle e, contro voglia, l'ho fatto. Longo non sapevo nemmeno chi fosse». «La ragazza mi ha chiesto di citofonare, lei non ce la faceva ha aggiunto. L'abbiamo fatto due volte, io di sicuro la prima. Lui ha risposto gentilmente, ma quando è sceso era aggressivo. Io mi ero allontanato di 7-8 metri ma dopo pochi secondi ho sentito che gli animi si scaldavano e mi sono messo in mezzo: ho sentito un colpo di pistola e subito dopo ho visto l'arma. Ho avuto la percezione che me la puntasse addosso. Ero a mezzo metro: ho temuto potesse ucciderci e l'unica cosa che ho pensato è stato tentare di disarmarlo. In androne Silvia l'ha preso da dietro, io da davanti. Siamo caduti e l'ho visto puntare l'arma sulla testa di lei. Io a cavalcioni di Longo tentavo di immobilizzargli le mani, poi ha sparato la seconda volta. I colpi sono stati due: uno in strada sotto il portico e uno nell'androne». Versione ben diversa da quella della vittima, che ha assicurato di aver esploso un solo colpo nell'androne, verso il muro, ipotizzando che il secondo fosse stato esploso da uno degli imputati.

Maran ha poi raccontato come avesse conosciuto la ragazza a scuola di danza e di come avesse saputo in modo sommario della sua «infanzia infelice». «Ci conoscevamo superficialmente, solo quella sera mi ha raccontato dei rapporti che avrebbe avuto con l'avvocato fin da ragazzina, facendomi capire che era disperata perché lui non voleva più averla attorno ha raccontato. Quando mi ha detto che voleva andare a casa sua piangeva: volevo solo accompagnarla all'auto, ma vedendola in quello stato non mi sono sentita di lasciarla andare da sola. Longo non lo conoscevo, lei non lo ha mai nominato. Lo chiamava "P", il suo "papino": mi aspettavo una persona che davanti a una ragazza disperata l'avrebbe abbracciata. Invece ci ha accolti con disgusto». Nella ricostruzione temporale Maran ha avuto qualche incertezza su un punto su cui l'accusa ha insistito molto, non senza qualche momento di tensione. Il video riprende la donna che colpisce, sull'uscio, l'avvocato con quelli che paiono un calcio e una manata. «Era solo un buffetto» ha precisato Maran, sostenendo all'inizio di aver agito per «spingerlo a guardare la ragazza». Poi però ha detto di aver colpito perché aveva intravisto la pistola. Infine ha sostenuto di aver udito uno sparo subito dopo la manata e aver visto Longo puntare la pistola contro Zanon.
Si tornerà in aula il 14 febbraio, con l'inizio delle deposizioni dei molti testimoni della difesa.

Ultimo aggiornamento: 22 Dicembre, 08:20 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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