Rsa degli orrori a San Donà di Piave, così gli aguzzini hanno limitato le condanne

Domenica 5 Maggio 2024 di Michele Fullin
Nella foto d'archivio un'assemblea di parenti e familiari degli ospiti della casa di riposo Monumento ai Caduti

SAN DONA' - È attorno al concetto di “oltre ogni ragionevole dubbio” che ruota la sentenza sulle violenze, vessazioni, botte e umiliazioni avvenute almeno tra il 2019 e il 2023 tra le mura della casa di riposo “Monumento ai Caduti” di San Donà di Piave, in provincia di Venezia.

Il dispositivo con le condanne degli imputati, letto dalla giudice Benedetta Vitolo a fine gennaio, aveva lasciato l’amaro in bocca ai familiari delle 29 vittime delle sevizie, in particolare ai familiari di coloro che hanno dovuto piangere una congiunta o che hanno appreso dagli atti processuali cose che non avrebbero mai pensato si potessero verificare. Tanto da far ribattezzare “Rsa degli orrori” quel luogo in cui gli anziani dovrebbero vivere in serenità i loro ultimi anni di vita. Il superamento del “ragionevole dubbio” relativamente al decesso di una anziana ospite oggetto di ripetute sevizie e maltrattamenti, per il giudice non è stato raggiunto nel processo con rito abbreviato che, ricordiamo, non consente la formazione della prova attraverso il contraddittorio ma solo in base agli atti prodotti nel corso delle indagini preliminari.

Le condanne assommano complessivamente a 23 anni di carcere, mentre il Pm che aveva coordinato le indagini, Andrea Petroni, ne aveva chiesti 38, ritenendo assodata l’aggravante della morte causata dalla condotta dei cinque operatori socio-sanitari finiti sul banco degli imputati. La sentenza è stata da poco depositata e sia il rappresentante dell’accusa che gli avvocati difensori e di parte civile la stanno analizzando in questi giorni. Anche per valutare un’eventuale impugnazione. Il pubblico ministero, rimasto contrariato per il mancato riconoscimento dell’aggravante, sembra orientato a farlo, ma il Codice di procedura penale consente all’accusa di ricorrere solo per Cassazione. La condanna più pesante, a 8 anni, è stata inflitta a Davide Barresi, 54 anni, già residente in provincia di Catania, attualmente detenuto, l’unico a cui venivano contestate, oltre ai maltrattamenti, anche le violenze sessuali ai danni di otto anziane ospiti. Il Pm ne aveva chiesti 12. Pene ridotte anche per gli altri due detenuti, Fabio Danieli, 47 anni, e Maria Grazia Badalamenti, 62 anni, entrambi di San Donà, condannati rispettivamente a 6 e 5 anni (l’accusa aveva chiesto 10 anni e 8 mesi e 8 anni e 8 mesi). Alle altre due imputate sandonatesi, Anna Pollazzon, 61, e Mergie Rosiglioni, 66 anni, entrambe agli arresti domiciliari, il giudice ha inflitto 2 anni e 4 mesi a testa (3 anni e 4 mesi). Due i capi di imputazione: i maltrattamenti aggravati e la violenza sessuale aggravata. Cominciamo dalla morte dell’anziana ospite.

“I periti - scrive il Gup - ricollegano la morte della signora a volte alle fratture del 2 febbraio, altre volte, più in generale, alle plurime fratture costali rinvenute sul corpo e di non certa datazione e quindi non attribuibili agli imputati”. Citando le parole del perito incaricato di dipanare la matassa, il giudice ha sostenuto che “non è possibile nemmeno per i periti stabilire quali tra le varie fratture riscontrate avrebbero condotto a quel “piano inclinato” verso la morte. Espressione, quest’ultima, che al di là di ogni altra considerazione evoca un concetto di probabilità, tipico del diritto civile, piuttosto che di ragionevole certezza, necessaria nel diritto penale... D’altro lato, ad avviso dei periti, le ingiurie e i maltrattamenti avrebbero creato un quadro di stress, che ha inciso sulla persona, debilitandola. Tuttavia, i periti non sono stati in grado di indicare gli elementi clinici ai quali ancorare tale valutazione di stress”.
Sulle violenze commesse da Barresi, provate da registrazioni anche video, il giudice non ha avuto dubbi sull’imputabilità dello stesso, visto che dalle difese erano state avanzate riserve sulla sua capacità di intendere e volere con richiesta di perizia, poi negata. “La richiesta - scrive sempre il Gup - non è supportata da alcun elemento di sostegno... Emergono con evidenza dalla visione delle immagini che l’imputato fosse estremamente attento e circospetto nel trovare il momento giusto per dare sfogo alle sue pulsioni, che erano quindi razionalizzabili e controllabili”. 

Ultimo aggiornamento: 6 Maggio, 08:55 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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