Trebaseleghe, la storica cuoca del ristorante la Baracca, "chef" quasi per caso: «Una domenica la cuoca non si è presentata...» - Foto

Lunedì 6 Novembre 2023 di Edoardo Pittalis
Trebaseleghe, la storica cuoca del ristorante la Baracca

All’anagrafe è Onofria Berton, per decenni ha sfamato gli avventori della “Baracca” di Trebaseleghe.

Fa ancora i ravioli col mattarello e il pesto al mortaio. «Il mio debutto? Una domenica la cuoca non si è presentata, ho dovuto arrangiarmi». Le mie ricette? «Ne avevo almeno sei, sette. Al presidente del Senato della California ho fatto quello con i petali di rosa».


Sta per compiere 100 anni e la chiamano sempre "Resi dei risotti". Cucina ancora, fa i ravioli col mattarello raviolatore, il pesto nel mortaio. Per decenni è stata la "cucina" della "Baracca", il noto ristorante di Trebaseleghe che oggi è guidato dal nipote Rinaldo Casarin. All'anagrafe si chiama Onofria Berton, nata il 16 novembre 1923. Dice di aver scoperto il vero nome quando si è sposata, l'avevano sempre chiamata Resi: «Lo decise una zia andata in Comune per denunciare la nascita e non disse niente ai miei genitori. Ho fatto la Prima Comunione col nome di Resi e anche nelle pagelle delle elementari è scritto Resi, ma tutti in famiglia avevamo nomi diversi: mia madre Ginevra veniva chiamata Angela, mio padre Adolfo era conosciuto come Rinaldo». La storia della signora Onofria Resi è la storia di un Veneto che ha attraversato un secolo tra guerre e ricostruzione, tra sconfitte e rinascite. Tutto incomincia a Trebaseleghe; dove c'era il canale, poi coperto dalla strada, si estendevano le terre dei Berton.


Che famiglia era quella dei Berton?
«Mio nonno aveva campi ed era commerciante di vino e i figli per vendere sono andati verso il Piave, mio padre è rimasto sulla terra. Papà aveva fatto la Grande Guerra nei Granatieri di Sardegna, ricordo che cantava sempre alla mamma una canzone degli alpini imparata al fronte: "Dammi un ricciolo dei tuoi capelli che io li tengo per la memoria quando saremo sul campo della vittoria i tuoi capelli sì sì li bacerò". Divenne un coltivatore di pesche, erano gli anni in cui la campagna di Trebaseleghe era ricca di frutteti, era il lavoro per ragazze e donne. Le pesche dovevano essere perfette, lavoravamo con i guanti e c'era una macchina che spazzolava le cassette in legno. Mandavamo la frutta anche in Germania, ricordo un signore tedesco su una grande automobile rossa. Ci ha rovinato il 1929, è stato l'anno peggiore, una pioggia mai vista, poi la grandine che ha distrutto tutto e il ghiaccio».


Lei andava a scuola e lavorava?
«Tutta la famiglia lavorava nella bottega, che era una baracca militare in legno della Grande Guerra. Vendevamo di tutto, dal carbone allo zolfo allo zucchero, petrolio e varechina. Con le mie due sorelle lavoravamo nei campi e in negozio. Avevamo anche i bachi da seta, facevamo un quintale di bozzoli. A 15 anni sono andata a servizio a Chiavari da una signora che aveva un bambino piccolo e aspettava un altro figlio. Il marito era un dirigente di banca, quando mi sono sposata nel dopoguerra mi ha regalato 10 mila lire che erano una specie di lenzuolo rosa. Quella bambina si chiama Maria e ha 84 anni, il fratello Nino 86. Ci sentiamo sempre».


Poi è scoppiata la guerra
«E sono tornata per sfuggire ai bombardamenti. Al rientro ho conosciuto il mio futuro marito, Tomaso Stevanato di Robegano, della Polizia Coloniale. In tempo di guerra avevamo il cavallo e andavamo in carretto a fare la spesa per tutto il comune di Trebaseleghe. Le tessere non bastavano per mangiare, la pasta dovevi cercarla in giro al mercato nero, a Padova per l'aceto, a Gazzo trovavi il formaggio, a Ponte di Brenta lo zucchero. Abbiamo anche fatto contrabbando rischiando. Ti dicevano: "Resi varda che a Badoere ghe xe un quintal de riso". Coi schei c'era tutto. Da Venezia veniva la gente con i soldi e comprava. Avevamo un centinaio tra galline, oche e anatre e faraone. Mio papà per la fiera di Trebaseleghe anche in tempo di guerra faceva la trippa in brodo e noi figlie davamo una mano e servivamo ai tavoli. L'idea di un'osteria c'era già».


Cosa è successo dopo l'8 settembre 1943?
«L'8 settembre il parroco ha suonato le campane a distesa, ci siamo illusi che tutto fosse finito. Aquino il papà di Rinaldo, mio nipote che oggi gestisce il ristorante, era carabiniere in Albania ed è stato deportato in Germania. Noi eravamo tre sorelle: io ero fidanzata con un poliziotto, una con un carabiniere, il padre di Rinaldo, e la terza con un finanziere che poi ha lasciato per sposare un calzolaio. Era meglio perché lei aveva un piede grande 43, io ho 42, la terza 41, non si trovavano scarpe nemmeno a Treviso. Ma al di là dei sorrisi, erano tempi di guerra civile, di azioni violente e di ruberie, di morti ammazzati da tutte le parti, persone che conoscevi. Abbiamo anche affrontato una crisi economica: il direttore della banca del paese dopo l'8 settembre è sparito con i risparmi della gente. È tornato dopo anni per restituire le cifre sottratte, ma ormai avevano perso valore: lui si era arricchito, noi avevamo perso tutto».


E l'idea di trasformare la Baracca in un ristorante?
«La vecchia baracca fu buttata giù e trasformata in poco tempo in osteria, abbiamo anche fatto un capitello di Sant'Antonio e il prete venuto per la benedizione ci propose di chiamare il locale "Alle tre sorelle". È rimasto il vecchio nome. Funzionava a pieno ritmo, c'erano il campo di bocce con la gente che veniva a giocare da ogni parte. E c'era il campo di borella, un vecchio gioco che somiglia un po' al bowling. Quando mancava qualcuno io andavo a giocare, anche a carte se mancava il quarto. Aquino appena congedato da carabiniere incomincia a fare da mangiare, erano pranzi poveri anche quelli per le nozze e per le cresime: minestra o risotto con fegatini, pollastro, insalata, formaggio, una mela. Non c'erano bomboniere, tre confetti a testa. Nel giugno del 1952 mi sono sposata e in viaggio di nozze siamo andati a Roma a trovare il fratello corazziere: abbiamo dormito in caserma al Quirinale e andavamo al mare a Ostia dove c'era la spiaggia dei corazzieri. Ho due figli: Livio e Paolo, 67 e 61 anni».


Come è diventa la regina dei risotti?
«Una domenica la cuoca non viene più, c'era un pranzo da servire con moltissimi invitati, mi sono trovata da sola e ho incominciato a cucinare il risotto. Da ogni parte del Veneto venivano per il risotto, ne facevo sei o sette tipi diversi. Ero portata per cucinare, allora non c'era la televisione e tanti libri, avevo fantasia e estro e ho sempre sperimentato. Ho smesso il giorno di Natale del 1985 con 400 commensali, avevo 62 anni, sono scivolata e mi sono rotta il femore e da quella sera non ho più voluto fare da mangiare. Nel mio lavoro mi sono divertita, ho fatto pranzi per principi e ministri, per industriali e campioni dello sport. Un risotto con i petali di rosa per il Presidente del Senato della California, col risotto della zia Resi e la faraona peverada ho servito monsignor Antonio Riboldi il vescovo di Acerra. Ricette mie le ho mandate anche al Gazzettino firmandomi Onofria per il Piatto di Natale e sono stata premiata per lo Strudel al radicchio. Con la faraona disossata ho vinto il concorso di "Guida Cucina" tra i Piatti Capolavoro. Il Lioness Club Milano Duomo mi ha assegnato il premio di arte culinaria scelto da una giuria presieduta da Vincenzo Bonassisi e da Wilma De Angelis. Faccio ancora la pasta in casa per figli e nipoti. Rinaldo è andato a Unomattina in tv con una mia ricetta. Vado quando posso al ristorante, mio nipote lo conduce con i figli Zeno e Emma. È una cosa grande, più di 400 posti, giardini, la piscina. Ormai è famoso anche senza i miei risotti».


A 100 anni Resi come passa il tempo?
«Adesso mi piace leggere, soprattutto libri su Venezia. Conservo rilegati tutti i fascicoli del Gazzettino sulle guerre e sulla storia del Veneto. La notte non dormo e leggo. Mi piaceva molto il cinema, a Trebaseleghe c'era il cinematografo, il più bello per me era Amedeo Nazzari. Un'altra mia passione è la lirica: facevo la coda per andare al Comunale di Treviso, sempre in loggione. Ho conservato tutti i libretti, molte opere le ricordo a memoria».

Ultimo aggiornamento: 17:08 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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