«Ed è il pensiero della morte che, in fine, aiuta a vivere», era la conclusione della poesia “Sera di febbraio” di Umberto Saba.
Due punti di vista diversi che ora rischiano di contrapporsi in un’aula di tribunale. Martedì scorso, infatti, è stata presentata alla Procura di Roma una denuncia-querela contro “Taffo Funeral Service” ed “Exequia Funeral Service”, due aziende riconducibili allo stesso proprietario, in cui è stato ipotizzato il reato di “pubblicazioni e spettacoli osceni”, cioè «che, secondo il comune sentimento, offendono il pudore». Federico Rosati, un 21enne residente a Guidonia, ha sporto denuncia perché, avendo perso il padre in giovanissima età, «si sente profondamente ferito da tale tipo di pubblicità, la quale - si legge nell’atto - offende in maniera incontrovertibile, senza limiti, la sacralità della morte». Un’altra ditta funebre romana (Giovannoni) aveva preso le distanze dai Taffo con una campagna dal titolo: «Noi non scherziamo».
Andrea Purgatori: i figli Edoardo, Ludovico e Victoria si tengono per mano durante la camera ardente
Gli slogan incriminati
«Queste pubblicità le ho sempre trovate di cattivo gusto - ha riferito il ragazzo che ha presentato la querela - Quando però ho saputo davvero cosa significa perdere un proprio caro, non le ho più accettate: mi sentivo profondamente ferito e offeso ogni volta che le leggevo. Ho deciso quindi di rivolgermi a un avvocato». «La Costituzione vieta le pubblicazioni contrarie al buon costume - spiega il suo legale, Gian Maria Nicotera - Tali pubblicità turbano il comune sentimento della morale, non rispettando il dolore di chi ha perso o sta perdendo un proprio caro. Inoltre tale agenzia ha toccato temi delicatissimi quali la prevenzione oncologica e la violenza sulle donne suscitando forte indignazione».
Certo, se come diceva Pier Paolo Pasolini «la morte non è nel non poter comunicare, ma nel non poter più essere compresi», potrebbe essere un problema per l’azienda funebre più conosciuta d’Italia. «Stiamo dando un cambiamento al sistema funebre nazionale - si difende Luciano Taffo - Una volta quando la gente vedeva uno di noi o un carro funebre partivano frasi o gesti di scherno. Eravamo solo “i cassamortari” (categoria professionale che ha ispirato l’omonimo film di Claudio Amendola, ndr). È assurdo essere denunciati per aver usato una frase comune come: “si suda da morire”. Serve un pizzico di ironia nella vita, e anche nella morte».