Rivolta alla caserma Serena di Casier, il capo torna in aula: «Con voi non parlo, rispondo solo a Dio»

Sabato 30 Marzo 2024 di Maria Elena Pattaro
CASIER RIVOLTA DENTRO CASERMA SERENA ED INTERVENTO FORZE ARMATE

CASIER (TREVISO) - «Io non rispondo a voi, ma solo a Dio». Così gridava agli agenti della Digos intervenuti con gli scudi all’ex caserma Serena per fermare l’aggressione al personale sanitario e la sua furia distruttrice. In mano aveva due spranghe di ferro, con cui minacciava i poliziotti. Era il 1° agosto del 2020, l’hub era in quarantena visto l’alto numero di contagi da Covid, e Amadou Toure aveva appena spaccato computer e suppellettili, tenendo sotto scacco un medico e un’infermiera in servizio nell’ambulatorio. Meno di due mesi prima il gambiano era stato uno dei sobillatori della violenta rivolta dell’11 e 12 giugno.

Ieri mattina per lo straniero, già condannato per la rivolta, è iniziato un altro processo. Stavolta lo straniero (difeso dall’avvocato Barnaba Battistella) è finito alla sbarra con l’accusa di resistenza aggravata e danneggiamento aggravato.

L’ASSALTO

I fatti contestati risalgono, appunto, al 1° agosto del 2020. Secondo l’accusa il giovane africano, insofferente alle misure anticontagio, avrebbe spaccato un computer fisso, un portatile e un vaso di vetro. Medico e infermiera, spaventati, avevano chiesto l’intervento delle forze della Digos. Ieri in aula è stato sentito l’allora capo dell’ufficio di polizia Alessandro Tolloso, che ha ripercorso quei momenti concitati. Il dirigente ha riferito che gli agenti avevano cercato di instaurare un dialogo. Ma lui aveva replicato secco: «Io non rispondo a voi ma solo a Dio». «Mezz’ora dopo abbiamo fatto irruzione con il Reparto Mobile in assetto antisommossa - ha spiegato Tolloso -. L’infermiera piangeva e il medico era visibilmente scosso». Il migrante invece si stava allontanando, salvo poi ripresentarsi armato di due spranghe di metallo, con cui ha poi minacciato gli operatori. La Digos a quel punto lo aveva accerchiato e disarmato. Il processo è stato aggiornato al 13 dicembre prossimo.

I DISORDINI

Toure è già stato condannato in primo grado per la rivolta dell’11 e 12 giugno del 2020 insieme ad altri due migranti. Un quarto presunto sobillatore, invece, Chaka Ouattara, 23enne del Mali, si era invece suicidato pochi mesi dopo la sommossa in carcere a Verona. A Toure i giudici hanno inflitto due anni di carcere, pena sospesa. Una condanna mite rispetto alle accuse, pesantissime che andavano dal saccheggio alla devastazione fino al sequestro di persona e alla resistenza a pubblico ufficiale. Sulla carta rischiavano ipoteticamente 15 anni di carcere. Invece la sentenza dei giudici del Collegio aveva ribaltato radicalmente l’accusa, riconoscendo i tre colpevoli soltanto di alcuni parziali sequestri di persona. E così se la sono cavata con pene lievi: un anno e 8 mesi a Mohamed Traore e Abdourahmane Signate; 2 a Traore. La miccia che innescò la rivolta fu la positività di un operatore pachistano della Nova Facility, la società che gestisce la Serena, che aveva così costretto gli oltre 300 richiedenti asilo a rimanere all’interno dell’hub. Una decina di immigrati bloccarono con una catena il cancello d’ingresso della struttura, impedendo alle forze dell’ordine di entrare. Poi si scatenarono devastando le suppellettili di stanze e camerate. All’interno c’era anche il personale sanitario dell’Usl 2, costretto a rifugiarsi nella guardiola e poi liberato dalle forze dell’ordine in assetto antisommossa.

Ultimo aggiornamento: 12:57 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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