Il giallo di Pordenone. «Io sono all’ergastolo, ma Teresa e Trifone non li ho ammazzati»

Domenica 7 Aprile 2024 di Cristina Antonutti
Giosuè Ruotolo

PORDENONE - «Vi chiedo aiuto. Ogni mattina mi sveglio e spero sempre che una guardia penitenziaria mi dica “si sono sbagliati, puoi uscire”...». Giosuè Ruotolo, 34 anni, è un fiume in piena. In una lunga lettera inviata al Gazzettino ribadisce, come ha sempre fatto anche al processo, la sua estraneità al duplice delitto nel parcheggio palasport di Pordenone, quando la sera del 15 marzo sono stati uccisi in auto con sei colpi di pistola 7,65, come fosse un’esecuzione, due fidanzati: Trifone Ragone, 28 anni, caporal maggiore del 132° carri di Cordenons, commilitone di Ruotolo, e Teresa Costanza, 30 anni, broker assicurativo laureata alla Bocconi.

La condanna all’ergastolo è diventata definitiva nel 2021. Ruotolo, in carcere dal 7 marzo 2016, è detenuto a Padova e sta cercando di ottenere la revisione del processo. È un’istanza che potrebbe essere presa in considerazione solo se ci fossero nuove prove da sottoporre ai giudici. Prove che mancano e che Ruotolo continua a cercare. Non si rassegna, dice di essere stato condannato senza prove scientifiche. Le uniche, in effetti, sono le intercettazioni telefoniche e le immagini delle telecamere che lo collocano nel parcheggio al momento del delitto e, subito dopo, nel parco di San Valentino, dove fu ritrovata nel laghetto l’arma del delitto. Il resto sono indizi. Indizi plurimi - hanno stabilito tre gradi di giudizio - univoci e concordanti.


IMPRONTE, DNA, ORARI
«I carabinieri - scrive Ruotolo - mi hanno preso un’impronta palmare per tre volte perché dicevano che era molto importante, perché era presente sulla vettura di Teresa e Trifone, ma dai rilievi hanno visto che non era la mia e ancora oggi non si sa di chi sia. Lo stesso vale per il Dna sul bossolo. Non era mio, ma ancora oggi non si sa di chi è. Hanno fatto rilievi su Dna, impronte, sangue, saliva, polvere da sparo, ma nulla riguardava la mia persona». Nega di essere stato nel parcheggio al momento del delitto, come accertato dalla super perizia della Procura di Pordenone sugli spostamenti della sua Audi A3. «In appello - continua - si ha dell’incredibile. I miei difensori di allora portano un elemento nuovo: confrontando l’orologio della palestra, tre persone quando escono sentono gli spari, ma in tre momenti diversi. E quando sentono questi spari io non ero nel parcheggio dove è stato commesso l’evento atroce a Teresa e Trifone. Il giudice si arrabbia e dice agli avvocati che questo elemento doveva essere discusso in primo grado... quindi rimane questo punto grigio su cui nessuno ha fatto una perizia». Lamenta che la Corte ha considerato solo la ricostruzione dell’accusa: «Non è mai stata fatta una perizia da parte loro». La difesa, però, non l’ha mai chiesta.


IL MOVENTE
Ruotolo avrebbe ucciso per l’odio covato nei confronti di Trifone e per timore che una denuncia per le molestie su Facebook a Teresa potessero compromettere la sua carriera nella Finanza (aveva vinto il concorso). «Non c’era nessuna ragione per un simile evento - scrive -. Hanno detto pure che io avevo litigato con Trifone e non avevo buoni rapporti con lui, ma ho dei messaggi scritti in maniera cordiale con Trifone, addirittura 5/6 giorni prima del tragico evento, ma sui giornali e in tv non sono mai usciti».
TESTE CHIAVE
È un sollevatore di pesi pordenonese uscito dalla palestra con i fidanzati, l’ultimo ad averli visti in vita. Sente gli spari, ma non si rende conto che gli amici sono stati freddati. «Aveva anche lui un’Audi A3. Si avvicina lentamente alla macchina di Teresa e Trifone, pensa che stavano in intimità, mentre va via nota un’Audi A3 Sportback, versione cinque porte, con a bordo una donna di mezza età vicino la macchina di Teresa e Trifone. Poi vengo indagato io e ai carabinieri cambia versione dicendo che all’interno di questa macchina poteva esserci un uomo e l’auto poteva anche essere un’Audi A3 normale a tre porte. Va bene che ha sbagliato a vedere una macchina, ma come fai a dire che hai visto una donna di mezza età e poi un uomo. Su otto o più persone presenti quella sera nel parcheggio che hanno sentito gli spari nessuno parla delle mia presenza in quel momento, anche perché vi assicuro non c’ero. Lo hanno confermato anche in aula e i giudici che fanno? Prendono l’unico che ha cambiato versione e mi condannano. Assurdo».


LE PISTE ALTERNATIVE
Ruotolo vorrebbe che fossero sondate ulteriormente le piste alternative, soprattutto quella indicata da un collaboratore di giustizia che aveva parlato di un possibile scambio di persona con una coppia implicata in un traffico di droga e quella fornita da Lorenzo Kari, che parlò di un mandate che gli aveva commissionato il delitto, sostenendo che alla fine si tirò indietro perché il suo unico scopo era incassare l’anticipo del compenso. «Secondo me - continua - in questo processo si è cercato di trovare un colpevole che giustificasse il lavoro svolto dalle forze dell’ordine, di colmare il dolore delle famiglie. Il lavoro svolto dai pm, passatemi il termine, ha ucciso un’altra famiglia, la mia, creato una morte emotiva fatta di ingiustizie, notti insonni, passate a pensare sempre alle stesse cose, fino ad arrivare alla conclusione che ormai è troppo tardi perché si accettano solo nuove prove. Questo continua a logorarmi dentro giorno per giorno. Credo che questo sia uno dei pochi processi italiani dove si è processato un ragazzo senza prove e le stesse prove non hanno escluso l’innocenza del ragazzo stesso... La domanda che mi sorge spontanea è come faccio a trovare io delle prove nuove, se una Procura non c’è riuscita o addirittura quelle già trovate non sono riusciti a collocarle o a trovare a chi appartenessero?». 
 

Ultimo aggiornamento: 17:05 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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