Venezia città di turisti. «Noi, piccoli negozi, ultimo baluardo tra bar, b&b e chiusure»

Domenica 10 Marzo 2024 di Valeria Turolla
Alvise Trevisan, dell’omonimo forno pasticceria a Venezia

VENEZIA - Sembra quasi di vederla ancora la gente che affollava il campo e le calli intorno alla chiesa di San Giacomo dall’Orio a Venezia nel cuore del sestiere di Santa Croce, quando ogni locale a piano terra era un negozietto.

Fruttivendoli, macellai, panettieri, ma anche sarti, calzolai e parrucchieri. Un’immagine a colori, sbiadita dallo scorrere degli anni, che rivive in tutta la sua vitalità nei racconti degli anziani della zona, che quella Venezia ce l’hanno ancora sulla pelle e che oggi faticano a ritrovarla uscendo di casa. «Sapessi cos’era questo campo solo 30 o 40 anni fa – dicono con gli occhi che brillano – Era uno spettacolo, il centro della nostra vita, qualcosa che oggi non esiste più».

Di quella realtà non sembra purtroppo essere sopravvissuto molto. Al posto dei piccoli negozi di vicinato hanno aperto negli ultimi anni 2 supermercati, bar e ristoranti, al posto delle case dei veneziani alberghi e b&b per turisti. In qualche caso le saracinesche si sono abbassate per non aprire più, colpite dal calo inesorabile dei residenti e dall'aumento vertiginoso degli affitti. In una mattina di pioggia, giriamo per il sestiere insieme a Maria Luisa Lazzarini, classe ‘48, nata e vissuta a San Giacomo, che racconta come già sul finire degli anni ’80 si avvertiva che qualcosa stesse succedendo, ma il vero cambiamento è stato repentino ed è iniziato sul finire degli anni ’90 e continua ancora oggi. «Quella di cui racconto – dice – è una città e un modo di vivere che non esiste più. Nel giro di poche centinaia di metri si poteva trovare tutto quello di cui avevi bisogno, solo in campo c’erano 2 fruttivendoli un bechér, il macellaio, e tre biavaròl, negozietti di generi alimentari dove si poteva trovare ogni cosa. Per il latte si andava in latteria, ce n’era una in Calle del Tentor e un’altra dall’altro lato del campo verso il Ponte del Megio. Se non potevi uscire bastava calare giù il cestino dalla finestra e Bartoloni mandava di sopra la spesa. Adesso ci sono i supermercati, comodi certo, ma si è perso il rapporto umano con le persone. Ciascuno di questi negozianti era anche un amico, uno di famiglia, oggi fuori di casa ci si sente soli».


Continuiamo il giro e l’elenco dei negozi che non ci sono più si fa sempre più lungo, fino a quando arriviamo davanti alla bottega di Giovanni Maccanin in calle larga che aspetta dietro al suo banco di frutta e verdura, ultimo baluardo di una Venezia che non c’è più. «Ho rilevato questa attività quasi 5 anni fa e a distanza di tempo lo rifarei senza dubbio – racconta – Le difficoltà di portare avanti un fruttivendolo a Venezia non sono poche, la merce vado a prenderla all’alba al mercato generale di Mestre, carico la barca e arrivo fin qui, con costi e difficoltà non da poco, ma la soddisfazione arriva quando i clienti mi ringraziano e mi scordo la fatica. Sono orgoglioso di portare avanti questo mestiere a Venezia». Lui è l’unico frutariòl rimasto in zona, per trovare un altro banco come il suo bisogna arrivare in Campo Santa Margherita, al mercato di Rialto oppure attraversare il canale e raggiungere Cannaregio. Anche di panifici, tra San Stae e Campo della Lana, ce n’erano almeno una decina, oggi ne sono rimasti solo un paio: uno è il panificio e pasticceria Trevisan, che dal 1985 ha aperto in Corte Canal. Prima era a San Giovanni Evangelista, vicino a un macellaio e a una piccola rivendita di alimentari.

«Quando siamo arrivati qui era pieno di negozi, oggi siamo rimasti soli – racconta Irma Trevisan che insieme a sua sorella Luciana porta avanti l’attività di famiglia – Resistere per noi vuol dire contribuire a mantenere viva la città che amiamo e la forza di restare ci viene dai nostri clienti che non mancano occasione per ricordarci quanto siamo importanti per loro. Vivere a Venezia negli ultimi 20 anni è diventato difficile: per qualsiasi cosa sei costretto a spostarti in terraferma, una volta bastava uscire di casa. Così tanti scelgono di lasciare la città». In calle larga dei Bari è Vanna Brussato, titolare della tabaccheria, a raccontare com’è cambiata la calle negli ultimi 20 anni: «Ho aperto la mia attività nel 2003 e da allora la realtà intorno al mio negozio è molto cambiata – racconta – qui in calle c’era una bottega di generi alimentari, il classico biavaròl, ma ha chiuso e al suo posto ha aperto un bar. Prima ancora c’era una macelleria e il pescivendolo. Pian piano hanno chiuso tutti, qualcuno non è sopravvissuto all’aumento degli affitti, qualcun altro è andato in pensione e non ha trovato chi potesse sostituirlo. Così la calle ha cambiato faccia». In Rio Marin è la signora Franca S. a raccontarci com’era solo fino a una quindicina d’anni fa: «Dove oggi c’è il supermercato, ai piedi del ponte dei Garzoti, c’era una macelleria e un fruttivendolo, ma per le altre cose bastava arrivare in fondo alla fondamenta dove c’era il biavaròl, oggi è un’osteria».

Ultimo aggiornamento: 11 Marzo, 15:03 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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