BELLUNO - Una miniera d’oro. Di oro blu. L’acqua era e rimane ancora fonte inesauribile di energia (e di denaro).
IL REPORT
Negli stessi giorni nei quali è una tragedia, quella della centrale di Bargi, nel Bolognese, a far riscoprire all’Italia come l’idroelettrico rappresenti ancora un perno fondamentale del sistema di produzione d’energia a livello nazionale, arriva a sovrapporsi il risultato di un’analisi condotta sul rapporto esistente tra risorsa acqua e suo utilizzo a livello nazionale. L’occasione è l’anniversario della Legge in materia di acque e impianti idroelettrici riguardante l’economia montana, promossa giusto 70 anni. Il report di Uncem diffuso in questi giorni snocciola i dati (fonte Terna).
LA PRODUZIONE
Dai dati di produzione aggregati a livello provinciale, Belluno è all’ottavo posto in Italia quanto a contributo derivante dall’acqua (oltre il 50esimo posto invece in quanto a produzione complessiva, ovvero sommando le diverse fonti). Passando dal concetto di potenza installata (misurata in megawatt) al concetto di producibilità (dunque introducendo il tempo, la misura diventano i gigawattora; 1 giga sono 1000 mega), l’idroelettrico bellunese porta in dote 321 gigawattora netti prodotti dalle centrali a bacino e altrettanti ricavati dagli impianti ad acqua fluente, mentre sono 492 quelli ottenuti dagli impianti a serbatoio. Su un totale regionale di 2.400 e rotti gigawattora, l’incidenza della provincia dolomitica è di quasi la metà.
GLI IMPIANTI
Produzione sì, ma c’è da analizzare anche il tipo di contributo che il Bellunese fornisce. Una premessa è qui necessaria. Perché si fa presto a parlare di idroelettrico, ma gli impianti si differenziano tra loro in base a come la risorsa idrica viene utilizzata. E giocano ruoli diversi. La produzione, infatti, deve rispondere alle richieste. E, per produrre, banale a dirsi, serve avere acqua disponibile da turbinare. Così, negli impianti detti «a serbatoio», dove una diga crea un lago, avviene la regolazione delle portate (cioè, della quantità d’acqua in transito nel corso d’acqua). Regolare significa immagazzinare. E immagazzinare significa poter decidere quando e quanto utilizzare dell’acqua accumulata. Una partita del tutto diversa rispetto a quella giocata invece dagli impianti «ad acqua fluente»; qui, nessun accumulo e nessun lago: la portata utilizzata è quella naturalmente in transito. Che a volte c’è, ma volte non c’è. La differenza è allora chiara: a un impianto ad acqua fluente s’affida un servizio «di base», prendendo, istante per istante, letteralmente “ciò che passa al convento”. Ma senza troppe pretese di stabilità. Il servizio «di punta» invece spetta agli impianti a serbatoio, più flessibili perché lasciano facoltà di gestione. Come produrre nelle ore di punta (tra l’altro, quelle più remunerative), azionando le macchine quando serve. Se si considera che, nel Bellunese, le dighe sono 17 sulle 18 presenti in Veneto, la conclusione sull’importanza del ruolo degli impianti dolomitici è presto detta.
SOVRACANONI
Tornando alle conclusioni del rapporto Uncem, l’attenzione è dedicata al territorio montano in particolare guardando alla ricaduta, in termini economici, della presenza degli impianti: dati alla mano, i sovracanoni valutati per l’anno scorso si attestano attorno ai 12 milioni di euro (da 64 impianti considerati in provincia). Di questi soldi, metà abbondante competono alla centrale di Soverzene (6milioni e 980mila euro), la prima della lista in Regione. A seguire, Cencenighe (quarto posto, poco meno di 1 milione), Rocca Pietore (415mila), Feltre (220mila), Pieve (100mila) e a scendere fino all’ultimo posto (7mila euro) del più piccolo degli impianti di Cortina.