Saccomanni: «Contro di me attacchi gratuiti: se lasciassi ora una sconfitta per tutti, ecco perché resto al Tesoro»

Domenica 12 Gennaio 2014 di Osvaldo De Paolini
Saccomanni: «Contro di me attacchi gratuiti: se lasciassi ora una sconfitta per tutti, ecco perché resto al Tesoro»
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Dimissioni? Mai prese in considerazione. In nessun momento. Il che non significa che apprezzi il tiro al bersaglio di cui ogni tanto vengo fatto segno.

Lo trovo unfair. Ma dimettermi mai. Sarebbe una sconfitta per tutti». Chi avesse la ventura di parlare in questi giorni con il ministro Fabrizio Saccomanni, questo è il massimo che riuscirebbe a strappargli a proposito delle sue intenzioni. E se provasse a trascinarlo nella polemica con i colleghi di governo o con le parti sociali, andrebbe deluso: «Non ho critiche da muovere, non è il mio stile», si sentirebbe probabilmente rispondere.



Solo penetrando la ristretta cerchia dei collaboratori si può misurare il vero stato d’animo del ministro. Il quale, pur essendo animato dalla stessa carica che otto mesi fa ne segnò l’esordio, qualche cedimento lo avrà pure denunciato di fronte agli attacchi personali subiti in queste settimane. Ma se è accaduto, non lo ha dato a vedere.



IL PASTICCIO SCUOLA

D’altro canto, chi ne conosce il cursus honorum al vertice della Banca d’Italia sa bene quanto, nonostante la sua pelle da rinoceronte, gli sia bruciato quel «non siamo su scherzi a parte» pronunciato sprezzantemente da Matteo Renzi e seguito dall’accusa di «ministro pasticcione». E quanto deve aver faticato a trattenersi di fronte all’esibito candore del ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza, pur sapendo che il pasticcio sulle buste paga del personale scolastico era nato e cresciuto proprio in quel ministero. E non deve essere stato esaltante ordinare al suo staff la subitanea retromarcia, sollecitato da un premier più propenso a placare la spinta della politica che a seguire il dettato della legge. Dicono che rientrando nella sede del ministero, in Via XX Settembre, in un impeto di genuino dissenso abbia esclamato: «D’accordo, gli insegnanti guadagneranno anche poco, ed è giusto porsi il problema. Ma allora perché non fare la stessa cosa con i poliziotti o i militari?».

Momenti non facili per Saccomanni, divenuto suo malgrado il pungiball dei partiti, lui che il presidente Giorgio Napolitano ha fortemente voluto nel governo delle larghe intese sia per le capacità di dialogare con tutti sia per la credibilità guadagnata sui mercati sia per la stima reciproca che lo lega al governatore della Bce, Mario Draghi.



D’altro canto, nei momenti di crisi il faro su chi dispone della cassa è acceso giorno e notte, a maggior ragione lo è quando il suo compito principale è togliere più che dare. Di ciò Saccomanni si è fatto una ragione. Ma non tollera di essere il solo, nell’ambito del governo, a portarne il peso. Basti dire che a quanti lo interrogano sul caos Imu e sulla Tasi, mentre fino a qualche tempo fa glissava ignorando quasi la domanda, ora risponde secco: «Perché prendersela con il ministero dell’Economia, quando è chiaro a tutti che in questo pasticcio siamo finiti per l’incapacità della politica di trovare un accordo? Accusare di insipienza la Ragioneria generale è ingeneroso quanto scorretto, visto il quadro di norme entro le quali si è costretti ad agire». Per non parlare della cosiddetta mini-Imu, un tema che lo irrita come pochi: «Si sta facendo un caso nazionale per un esborso medio di poche decine di euro. Capisco tutto, meno le invenzioni giornalistiche e il carattere pretestuoso di certe insistite proteste».



Intervistato dal Messaggero alla fine di luglio dello scorso anno, per la prima volta pronunciò la parola ripresa, anticipando che la parte finale del 2013 avrebbe finalmente consentito di vedere la fine del tunnel anche in Italia, con uno spread tra Btp e Bund che sarebbe sceso attorno a 200. La misura dello spread è stata centrata, sebbene divergano le opinioni sui veri motivi della caduta; epperò tra la gente ancora non si è formata la percezione che la crisi sia finita. E soprattutto che la ripresa sia già iniziata. Dice il ministro: «Eppure i segnali positivi sono sempre più evidenti: ordinativi, domanda interna, esportazioni. Anche l’Istat lo conferma. Purtroppo questi focolai ancora non producono posti di lavoro, ma sbaglia chi mette in connessione il brutto dato di novembre, la disoccupazione al 12,7%, con il contesto virtuoso che si va lentamente formando. Quel dato, in contrasto con i numeri della ripresa che inizia, è la coda velenosa di una crisi durata incredibilmente a lungo e che sempre si verifica quando una recessione finisce».



TROPPA SUPERFICIALITÀ

Insomma, nonostante il suo nome ricorra ogni volta che si parla di rimpasto all’interno del governo, il ministro resta ottimista, convinto che molti progressi sono stati compiuti e che altri si potrebbero compiere se la politica tornasse ad essere ragionevole. Chi lo ha incontrato dopo il summit dell’International businnes advisory council svoltosi alcuni giorni fa presso la Farnesina ne ha però ricavato una doppia impressione: da una parte lo ha trovato fortemente motivato per l’interesse mostrato verso l’Italia da parte dei grandi investitori istituzionali, dall’altra non ha potuto non rilevare le note di pessimismo sulla possibilità che nel nostro Paese gli umori riescano a cambiare con la necessaria velocità. Avrebbe detto: «C’è in giro troppa superficialità. A ottobre il governo ha chiesto e ottenuto la fiducia dal Parlamento, si pensava avremmo lavorato meglio riuscendo a mantenere le promesse di riforma. Invece è stato persino peggio di prima. E non è soltanto colpa del clima teso che segna i rapporti fra maggioranza e opposizione».



Saccomanni non lo dice, ma non è difficile intuire che la sua critica è rivolta anche ai sindacati e agli imprenditori. Soprattutto a questi ultimi. Basta leggere le ultime dichiarazioni dei vertici confindustriali per capire che la sintonia è lungi dall’essere quella ideale. Anzitutto perché è un fatto oggettivo che gli imprenditori da una parte esaltano i settori dell’industria che stanno tirando grazie all’export, facendo però poco per diffondere questo modello vincente; dall’altra perché, forse anche delusi dalle risposte negative ottenute dal governo, loro più di altri contribuiscono ad alimentare il clima di pessimismo dilagante offrendo un’immagine fuorviante del Paese e delle sue prospettive.

Anche per questo il ministro dell’Economia ha sposato la causa di quanti auspicano un patto politico solido che a breve ricomponga la maggioranza di governo. Non che ciò possa bastare a metterlo al riparo da eventuali colpi di mano in caso di rimpasto, ma i mercati ci guardano e per quanto criticabile sia Saccomanni, francamente non è facile immaginare un nome altrettanto credibile tra quanti si muovono ai vertici nella politica. Soprattutto all’inizio di un anno, il 2014, di congiunzione tra recessione e ripresa, che al centro avrà nuovamente il tema del debito: della sua riduzione, che finalmente verrà affrontata, e soprattutto dei suoi rinnovi mensili.
Ultimo aggiornamento: 13 Gennaio, 09:34

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