L’Unione federale/ La sfida che impone nuovi assetti in Europa

Domenica 10 Settembre 2023 di Giuseppe Vegas

Il futuro dell’Unione Europea è stretto tra la tendenza al ristagno dell’economia, il permanere dell’inflazione, il costo delle materie prime, la perdita di competitività verso l’estero e la sostenibilità ambientale. Il tutto, in prospettiva futura, aggravato drammaticamente dal declino dell’occidente, accelerato oggi dalla “sollevazione” degli ex paesi non allineati, che hanno deciso di coordinare le loro politiche per orientare diversamente dal passato la futura governance del mondo.
Che fare? Mario Draghi sulle colonne dell’Economist ha lanciato il sasso.

Per cominciare, ha delineato i fondamentali di quella che dovrebbe essere l’agenda economica dell’Unione Europea e gli interventi indispensabili per far fronte con decisione ai problemi del presente. Ed ha chiarito che, per poter uscire dalle secche nelle quali ci siamo impantanati, è indispensabile il rafforzamento della sovranità condivisa da parte di tutti i paesi che ne fanno parte. Il che significa più poteri centrali in campo economico e, soprattutto, politico. Si tratta, più che di un obiettivo, di un imperativo categorico per poter guardare al futuro con ragionevole speranza. Ma naturalmente occorre chiedersi se, di là dai consueti consensi a parole, si potrà davvero fare qualcosa. E qui qualche grado di scetticismo è d’obbligo. Basta volgere lo sguardo a come è iniziata la campagna elettorale per le elezioni europee della prossima primavera. Tutti i partiti stanno dando bella mostra di sé offrendo all’opinione pubblica la rappresentazione delle lotte intestine che li stanno dilaniando. 

I leader hanno incrociato le armi, preoccupati esclusivamente di dimostrare il loro potere nel riuscire a piazzare a Bruxelles il numero maggiore possibile di fedelissimi. Qualcuno ha fatto sapere a quale tipo di alleanza politica gradirebbe appartenere dopo le elezioni. Ma nessuno, almeno sino ad oggi, si è posto il problema fondamentale di quali dovranno essere le azioni e le politiche dell’Unione a partire dal 2024.
La guerra in Ucraina ha rappresentato lo scoperchiamento del vaso di Pandora della vecchia governance mondiale. Pur nelle innegabili difficoltà e contraddizioni, la presa di coscienza della potenza degli strumenti a disposizione dei Brics, il vecchio Sud del mondo, ha fatto il resto. L’epoca della disponibilità di materie prime e dei prodotti a basso costo è definitivamente chiusa. Il tenore di vita del Nord del mondo è destinato a contrarsi sensibilmente prima che quello degli altri abitanti del pianeta possa crescere adeguatamente. In sostanza, il desiderio di rivincita da una parte e il senso di colpa che deriva da un diffuso benessere non condiviso dall’altra, hanno creato una situazione non dissimile a quella di una torta, che non è in grado di lievitare, ma di cui tutti si contendono le fette più grosse, a danno degli altri. Ovvio che chi ha una famiglia più numerosa pretenda per sé la parte del leone. Malauguratamente, a fronte delle sconvolgenti novità all’orizzonte, molti, che pur dovrebbero portare il carico della responsabilità del nostro futuro, preferiscono tirare a campare, così assomigliando sempre più a “coloro che visser sanza ‘nfamia e sanza lodo”, come Dante definisce gli ignavi. Il Vecchio Continente sembra voler anestetizzare i suoi cittadini illudendoli che gli scenari che si vanno concretizzando non richiederebbero innovazioni straordinarie, ma possono essere affrontati come se si trattasse di un business as usual, di proseguire le buone pratiche del passato. Un piccolo cabotaggio che non sconvolga gli equilibri interni e permetta di sfuggire all’uragano che sta per abbattersi sul “piccolo mondo antico” nel quale crediamo ancora di vivere. Pensare di affrontare situazioni straordinarie con strumenti ordinari non funziona. Ma i mezzi a disposizione sono figli degli assetti istituzionali. Dopo quarantacinque anni dalla prima elezione del parlamento europeo e dopo il passaggio da sei a ventisette paesi membri ben poco è mutato nei sistemi di decisione e di ripartizione dei poteri. In qualche caso si è adottato il principio della maggioranza al posto di quello dell’unanimità, ma l’intero meccanismo finisce per privilegiare l’equilibrio statico dei poteri tra parlamento, commissione e governi nazionali rispetto alla capacità di intervento rapido e soprattutto alla sua portata. Certo, gli interventi post Covid-19 e soprattutto il piano Next Generation, da noi attuato mediante il Pnrr, hanno dimostrato un significativo cambio di passo. Ma non basta. È giunto il momento, come è stato autorevolmente affermato, di fare un passo avanti verso una effettiva unione federale, in cui la sovranità sia accentrata a livello supernazionale. In questo modo potrebbero essere omogeneizzate molte politiche oggi frammentate e spesso discordi a livello dei singoli Stati, basti pensare al fisco, ai mercati finanziari e alla politica industriale. Costituendo per questa via una coesa realtà continentale in grado di competere ad armi pari, sia per potenza economica, sia per entità della popolazione, con il resto del mondo. Per far partire questo processo occorre un più accentrato ed efficiente meccanismo decisionale. Quindi una riforma dei Trattati che segni la partenza di una vera Europa federale. Ma, per cominciare è indispensabile decidere quali funzioni, a cominciare dalla difesa, dovranno essere esercitate dall’Unione a nome di tutti i paesi che ne fanno parte. A questo scopo, risulta indispensabile che essa disponga di una adeguata capacità di spesa autonoma. Se l’emissione di titoli di debito comune potrebbe garantire maggiore stabilità e un più basso onere per interessi, tuttavia sarebbe assurdo basare gli interventi di politica economica sul debito. È indispensabile invece disporre di una massa consistente di entrate proprie, adeguata per garantire la copertura dei servizi comuni. Dato che, nelle attuali condizioni, è improponibile richiedere ulteriori balzelli ai cittadini europei, non esiste altra strada se non quella che ciascuno Stato sopprima la spesa, e conseguentemente le imposte richieste per finanziarla, destinata ai servizi che passeranno all’Unione. Il che ovviamente rappresenterebbe una perdita di potere per i governi dei singoli paesi. Ma, come ciascuno può constatare già oggi, soprattutto nelle politiche di bilancio, di discrezionalità ne è rimasta veramente poca. In fondo sarebbe un sacrificio quasi irrilevante. Una scelta razionale per il bene comune.

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