Affitti brevi, controlli sui proprietari per la cedolare secca non versata: faro sui titolari dei contratti (non solo su AirBnB)

Incassate provvigioni per 3,7 miliardi. Ma in pochi avrebbero pagato la tassa

Venerdì 10 Novembre 2023 di Andrea Bassi
Affitti brevi, controlli sui proprietari per la cedolare seccanon versata: faro sui titolari dei contratti (non solo su AirBnB)

Ci vorrà tempo, ma la macchina è già stata avviata. Dopo il maxi-sequestro di 779 milioni ad AirBnB, la multinazionale degli affitti brevi, sotto la lente del Fisco e della Guardia di Finanza sono finiti i proprietari e i gestori dei Bed and Breakfast.

Il controllo andrà fatto contratto per contratto, per verificare se la cedolare secca del 21 per cento sugli affitti brevi non versata da AirBnB come “sostituto d’imposta” è stata invece versata direttamente dal contribuente. Chi non lo ha fatto rischia a sua volta di essere sanzionato dal Fisco. E sarà difficile sostenere che si faceva “affidamento” sul fatto che fosse la piattaforma a versare la tassa, anche perché sarebbe bastato controllare gli estratti conto per accorgersi che la trattenuta del 21 per cento non era stata effettuata da AirBnB. I controlli, come detto, sono già partiti. E riguarderanno un numero molto elevato di contratti. La verifica dovrebbe servire anche a delineare meglio i contorni del sequestro preventivo effettuato dalla Procura di Milano, perché non è detto che tutti i proprietari non hanno poi effettivamente versato l’imposta allo Stato. 

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LO STUDIO

La questione è stata affrontata ieri anche in un documento diffuso dal Centro studi Eutekne. «AirBnB», si legge nel documento, «ha omesso di operare la ritenuta sui canoni di locazione corrisposti a soggetti che hanno locato appartamenti per meno di 30 giorni. Ovviamente però l’imposta, cedolare secca o Irpef che sia», nota Eutekne, «non è dovuta da AirBnB, bensì dai proprietari». Se dunque è vero che la piattaforma non ha mai corrisposto la cedolare secca «non è detto che a ciò sia corrisposta pari evasione d’imposta, a meno di non voler presumere che nessuno dei locatori coinvolti abbia pagato le imposte sugli immobili locati con locazione breve». Ma è vero anche il contrario, ossia che una parte dei proprietari certamente non ha versato la tassa né tramite AirBnB e neppure direttamente. E sarebbero la maggior parte. È su questi che si concentrerà l’attenzione. Chi invece ha dichiarato e versato la cedolare secca, non avrà nulla da temere.
Ma quali sono i numeri? Dal 2017 al 2021, secondo quanto emerso dagli accertamenti della Guardia di Finanza, sono stati corrisposti ai proprietari delle strutture ben 3,7 miliardi di euro. E si tratta soltanto degli host “non professionali”. 

La norma sulla ritenuta alla fonte della cedolare secca, esclude infatti i canoni incassati da chi svolge questa attività avendo aperta una Partita Iva, da chi gestisce più di quattro appartamenti ed esclude, ovviamente, tutti quei soggiorni che non possono essere definiti “brevi”, che hanno cioé una durata superiore a 30 giorni. 

LA STRATEGIA

In realtà, come emerge dalle carte dell’inchiesta milanese, AirBnB aveva provato ad allargare a dismisura la definizione di soggetti “professionali”. In questa categoria avrebbe voluto includere, secondo la sua interpretazione soggettiva, tutti i titolari di Partita Iva, tutti coloro con ricavi dall’attività di B&B superiori a 65 mila euro e tutti coloro che fornivano servizi simili a quelli alberghieri, come il cambio della biancheria, le pulizie o il servizio di reception. In base a questi criteri, tutti i proprietari che passavano sulla piattaforma AirBnB avrebbero avuto la qualifica di “soggetti passivi” per i quali la piattaforma non avrebbe dovuto fare da soggetto passivo per l’applicazione della cedolare secca. 

Tra le carte sequestrate dalla Guardia di Finanza, poi, ne è emersa una qualificata come «Privilegiata e confidenziale» dalla quale erano indicate le strategie ipotizzate dalla multinazionale per fronteggiare il rischio fiscale dopo l’introduzione della cedolare secca. Tra queste anche quella di avviare un lungo contenzioso con le Autorità fiscali italiane e una posizione di chiusura nei confronti dell’Agenzia delle Entrate. Il conformarsi invece alla normativa sulla cedolare secca, è collegata nel documento ad un rischio potenziale di aumento dei prezzi e alla perdita di quote di mercato a favore di altri concorrenti che non usano il metodo dei pagamenti on line. Intanto commercialisti e avvocati della multinazionale hanno preso contatti con funzionari del Fisco. Un primo passo. Si vedrà in quale direzione.

Ultimo aggiornamento: 11 Novembre, 08:27 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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