C’è chi dice: «Ci sentiamo in stato d’assedio».
Mai avrebbero immaginato di dover subire la trasformazione di un’agorà in un set di prevaricazione d’antan il cui simbolo è la sedia lasciata vuota dalla Roccella perché le è stata negata la parola dai nuovi arditi che vedono il fascismo dappertutto tranne che in se stessi. Sulle t-shirt di questi ragazzi degli Stati generali sulla natalità c’è scritto: «Esserci. Più giovani, più futuro». E invece, sono precipitati loro malgrado nel passato peggiore, sono stati trascinati in un filmaccio da anni di piombo, si sono ritrovati in un pezzo di archeologia ideologica che tenta pericolosamente di aggrapparsi al presente e di sovrastare il futuro tramite una messa in scena dell’intolleranza mascherata da presunto contro-potere.
Racconta Nunzia Laino, che è una dei tanti volontari in questo evento che voleva essere pacifico: «La vicenda ai danni della Roccella è il segnale di un clima preoccupante che è più generale in questa fase nel nostro Paese. Negare a un ministro o ad altri la libertà di esprimersi rimanda a tempi pieni di buio». Laura, una liceale in mezzo ad altri coetanei del Vivona, del Socrate e di altri istituti pubblici e privati, confida: «Quando in questi anni a mia madre capitava di usare il termine “squadristi”, non capivo bene che cosa significasse. Adesso, lo so».
Fa impressione il repentino cambio di scena che s’è verificato ieri. Eravamo abituati a vedere le minoranze rumorose della protesta occupare gli atenei, esaltare la resistenza palestinese mostrificando lo Stato d’Israele, scendere nelle piazze anti-fasciste gridando «ora e sempre resistenza», ma mai quest’esibizione di fanatismo mascherato da impegno da parte di pochi agitatori aveva impattato direttamente e in maniera contundente sulla maggioranza silenziosa dei giovani: quelli che vogliono sapere, che vogliono capire, che inseguono il futuro e non scimmiottano il ‘900 in tutte le sue storture.
LA BRUTTA SCOPERTA
Lo sbigottimento dei ragazzi davanti alla furia rappresenta una scoperta brusca, per una generazione che si pensa post-tutto, dell’odio circolante in questo Paese e che, brutta coincidenza, ha dato sfogo a se stesso proprio in coincidenza della giornata della memoria delle vittime del terrorismo. Quella in cui tutti, anche i più accecati, dovrebbero riflettere sulle uccisioni e sulle stragi degli anni ‘70 e ‘80 in nome di nuove forme di convivenza politica. E invece, un luogo di libero dibattito si trasforma in un fortino protetto dalle forze dell’ordine nel bel mezzo della città laica e cristiana, perché sono arrivati gli oscurantisti dei collettivi e potrebbero somigliare, in piccolo, in parodia della parodia, agli studenti all’assalto in Valle Giulia nel ‘68 di cui parlava Pier Paolo Pasolini: «Adesso i giornalisti vi leccano i piedi. Io no, cari. Avete facce di figli di papà. Siete pavidi, incerti, prepotenti, ricattatori, sicuri e sfacciati».
Ma si sentono, quelli della minoranza rumorosa e indottrinata, sulla cresta della storia (sbagliata), sulla trincea dell’avvenire (già rancido) fatto di slogan e di coretti super-combat su sessismo, colonialismo, anti-capitalismo, genderismo, woke e ciecopacifismo anti-occidentale. Tutto scekerato in un mainistream infiammato e inascoltabile. E aveva quasi del pasolinismo, ma senza le asprezze di PPP, anzi con un tratto dolce e dialogante, Gigi De Palo, il presidente della Fondazione per la natalità, che quasi da frate zoccolante (è un laico perbene con ai piedi i sandali: «Li porto ininterrottamente dal 2002 per ricordarmi di lavorare ogni giorno per la pace») ha fatto di tutto per capire le (presunte) motivazioni dei censori. «Avevo intuito, guardando i loro social, che avrebbero potuto - così racconta il pacatissimo Gigi, padre di 5 figli e impegnatissimo da sempre nel sociale - organizzare qualche protesta. Ho cercato in tutti i modi di contattarli, ma niente. Poi li ho invitati a parlare sul palco, ma non è bastato a placarli».
L’immagine forte della giornataccia di ieri è quella dei ragazzi sotto choc. Impauriti non solo dall’odio che vedono fuori e dentro le università e di cui i social trasudano (la Roccella sta subendo in queste ore anche la gogna digitale) ma forse anche dal senso di solitudine, pur essendo loro in maggioranza, dovuta al tradimento dei maestri, alla moda populista e giovanilistica di molti professori che negli atenei e sui media invece di giustificare e aizzare i violenti dovrebbero condurre nel circuito educativo, culturale e politico-mediatico discorsi di ragionevolezza e di rigore.
La giornata di ieri, nel festival dei cattivi maestri, è stato un florilegio di insensatezze come quelle di Tomaso Montanari, rettore a Siena («Alla Roccella sfugge l’abc della dinamica democratica, è dal basso che si contesta chi si trova in alto, mentre è dall’alto che si censura chi si trova in basso e non ha possibilità di esprimersi») e come quelle di Christian Raimo, insegnante liceale e star mediatica dell’antagonismo giovanilista d’assalto ma di retroguardia: «La Roccella avvelena i pozzi, agita complotti e lese maestà. I fischi si prendono. E magari, fischi dopo fischi, cambi idee».
I FANATICI
I ragazzi di via della Conciliazione, questi giovani politicamente violentati in un giovedì romano che prometteva tutt’altro, hanno scoperto tra le tante difficoltà generazionali anche quella di doversi difendere dai fanatici.