Addio ai cicchetti di un tempo, dai banconi delle osterie spariscono nervetti e moscardini

Venerdì 28 Luglio 2023 di Alessandro Marzo Magno
Addio ai cicchetti di un tempo, dai banconi delle osterie spariscono nervetti e moscardini

Sui social e non solo una singolare discussione sulla scomparsa del cibo di una volta dai banconi dei bacari: al posto di nerveti e folpeti, fettine di pane con sopra un po’ di tutto. Ma gli esperti ora avvertono: «È una tradizione recente».

Non ci sono più i cicheti di una volta.

Certo che no: i tempi cambiano, mutano le abitudini, e la gastronomia (l'arte di preparare gli alimenti) segue. Nei banconi dei bacari veneziani oggi si trovano con difficoltà la spienza (milza), i nerveti, el rumegal (esofago), i folpeti, el mezo vovo co l'aciugheta. Più facile vedere fettine di pane con sopra un po' di tutto, comprese preparazioni tradizionali, tipo baccalà mantecato o sardele in saor. Se si vuole scatenare una tenzone da social basta molto poco: bisogna postare la foto del bancone di un bacaro, scriverci vicino cicheti (ma più spesso si vede purtroppo scritto cicchetti: il veneziano, questo sconosciuto, non vuole le doppie) e si scatena la fiera delle opinioni.

Dopo gli Usa, i tramezzini veneziani sbarcano in Giappone


BACCALÀ SCORRETTO
«Questi non sono cicheti», «chiamateli crostini», «vogliamo i mezi vovi», giudizi in genere espressi da persone attempate che sembrano rimpiangere la gioventù irrimediabilmente perduta, più che la trippa rissa calda nel cono di carta oleata con stuzzicadenti e sale grosso. Sarebbe interessante capire quanto sia politicamente scorretto spalmare il baccalà mantecato su una fetta di pane anziché di polenta, e pure se succeda qualcosa del genere in altre città italiane. Per esempio, anche la pizza in origine cibo di strada esattamente come i cicheti non è più quella di una volta, ma a Napoli si contano coorti di nostalgici della pizza con la sugna (cioè grasso di maiale spalmabile) "come una volta", oppure la margherita ha messo d'accordo tutti? Detto ciò, divisi i contendenti tra nostalgici e` innovatori, ci si rende conto di quanto il mistero sia fitto. Ovvero sulle origini e la storia dei cicheti non si sa nulla. Certo, adesso si scateneranno schiere di fanatici della "storiografia del nonno" (mio nonno diceva che), però siccome la storia si fa con i documenti e non con i sentimenti o i ricordi dei parenti, se si va a cercare qualcosa si trova poco o nulla. Un dato certo? La prima volta che in dizionario registra la parola cicheto con il significato attuale di bocconcino da mangiare è nel 1992. Non si sa quando si siano cominciati a mangiare cicheti come li intendiamo noi oggi: bocconcini che accompagnano le ombre, ovvero i bicchieri di vino bianco o rosso. Non ci sa nemmeno come e quando una parola che aveva tutt'altri significati abbia cominciato a designare i suddetti bocconcini. Di sicuro non compare nel "Dizionario del dialetto veneziano", pubblicato da Giuseppe Boerio (1829), ma nemmeno in "Osterie veneziane", di Elio Zorzi, uscito quasi un secolo dopo (1928), segno evidente che il termine entra in uso con tale significato piuttosto tardi, probabilmente nel secondo dopoguerra.


IL BICCHIERINO
In italiano cicchetto ha due significati: un bicchierino di superalcolici (dal provenzale chiquet, che vuol dire, per l'appunto "bicchierino") o, in gergo militare, una ramanzina, una sgridata, una lavata di capo. Entrambe le accezioni sono arrivate attraverso il Piemonte, sia perché la regione subalpina è la porta d'occidente verso la Francia, sia perché l'esercito italiano è stato modellato a immagine e somiglianza di quello piemontese. Spiega Lorenzo Tomasin, storico della lingua specializzato nel veneziano, docente alla Normale di Pisa, che con ogni probabilità l'espressione veneziana "ombre e cicheti" è nata nella prima metà del Novecento riferendosi a bicchieri di vino e bicchierini di superalcolici, e soltanto a partire dagli anni cinquanta cicheto è passato a indicare da qualcosina che si beve a qualcosina che si mangia. «Cicheto è molto probabilmente», osserva Tomasin, «una voce d'importazione recente a Venezia, dove ha subito una particolare evoluzione del significato. Assente nel primo Ottocento, se non come variante di "cico" nell'espressione "a cico", cioè appena, riportata dal Boerio». D'altra parte non sono passati moltissimi anni da quando si diceva "cico cico" per significare "appena appena". «Nella seconda metà del secolo», continua Tomasin, «la parola sembra essere arrivata a Venezia da Lombardia o Piemonte, con il significato di "sigaretta", "mozzicone" (per il quale in seguito si è preferito "cica"), poi ai primi del Novecento sembra attestato il significato di "bicchierino di superalcolico". Solo seconda metà del secolo scorso sembra essersi specializzata nel significato, che parrebbe tipicamente veneziano, di "assaggino", "tapa" (in spagnolo), "fingerfood" (in inglese). Nel significato di "grappino" o similare si trova già nel "Dizionario veneziano-italiano", di Giuseppe Piccio (1916) e poi nel "Dizionario del dialetto triestino", di Mario Doria (1980), mentre per l'ultimo significato bisogna attendere il "Dizionario etimologico dei dialetti italiani" di Manlio Cortelazzo e Carla Marcato (1992)». Quindi per trovare cicheto registrato da un dizionario nel significato di bocconcino da mangiare dobbiamo aspettare il 1992. Ciò significa che la parola era già in uso da qualche tempo, ma non da così tanto tempo da essere inserita in dizionari precedenti. Anche per quanto riguarda l'uso di accompagnare il vino a piccole porzioni di cibo il buio è totale. Viene spontaneo pensare alla tradizione mediorientale dei mezè, cioè piattelli con piccole porzioni serviti come aperitivo, diffusa tra gli armeni, i greci e i turchi, tutti popoli presenti a Venezia fin dal medioevo. Facile pensare che la tradizione venga da lì, ma difficile pensare che per secoli nessuno l'abbia registrata.


GOLDONI TACE
Nemmeno quel sensazionale cronista di usi e costumi veneziani che era Carlo Goldoni nelle sue commedie dove i riferimenti al cibo sono numerosi nomina mai piccole porzioni da accompagnare al vino. Secondo Luca Cesari, storico della gastronomia, per trovare l'origine dei cicheti bisogna guardare a occidente, più che a oriente. «Direi che sono più simili alle tapas spagnole che ai mezè del Levante. La storia interessante che si racconta sulle tapas è che deriverebbero da un obbligo imposto ai venditori di vino per evitare il deperimento dei soggetti che andavano in cantina, spendevano tutti i soldi che avevano per il vino e non ne rimanevano loro altri per il cibo. Secondo questa versione gli osti quindi erano obbligati ad accompagnare il vino con bocconcini di cose da mangiare. L'altra ipotesi è che in origine fossero semplici fette di pane messe sopra il bicchiere (da cui il nome) che si sono via via arricchite nel tempo». Il campo di ricerca è aperto. Stabilito, al di là di ogni ragionevole ricordo dei nonni, che non sappiamo quasi nulla sull'origine dei cicheti, sarebbe interessante capire se negli ottanta chilometri di documenti conservati nell'Archivio dei Frari ci sia la chiave per individuare da dove vengano e come si siano sviluppati.

Ultimo aggiornamento: 30 Luglio, 13:01 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci