Maxi inchiesta tangenti, dopo 9 anni prosciolto l'imprenditore Vidoni

Venerdì 12 Aprile 2024 di R.U.
Delle toghe (archivio)

UDINE - Dopo nove anni si è chiusa la vicenda giudiziaria dell’imprenditore Giuliano Vidoni, coinvolto nel 2015 nell’indagine “Dama nera” della Guardia di Finanza, inchiesta in cui erano finiti dirigenti e funzionari dell’Anas, oltre a titolari di imprese che avevano vinto appalti per opere pubbliche milionarie. Come fa sapere il suo legale, Luca Ponti, per Vidoni, al termine del lungo processo che ne è seguito, è caduta l’accusa, pesantissima, di corruzione, per cui il Collegio giudicante ha dichiarato il non doversi procedere.

La contestazione è stata riqualificata in indebita erogazione di somme, per cui è intervenuta la prescrizione. Il legale precisa che Vidoni quindi è stato riconosciuto vittima di concussione ambientale. Con la sentenza, di cui è stato pubblicato il dispositivo, la Vidoni spa Fallimento e la Società italiana costruzioni stradali sono state invece condannate alla sanzione amministrativa pecuniaria pari a 100 quote per ciascun ente, del valore di 103 euro ciascuna, oltre che al pagamento delle spese processuali.


LA VICENDA
Con il verdetto uscito dalla sentenza romana, si è conclusa così una vicenda iniziata nel 2015, quando Vidoni, inizialmente accusato di corruzione nell’inchiesta per le tangenti Anas, era finito agli arresti domiciliari ad ottobre 2015, per poi vedersi revocare la misura a marzo del 2016, quando l’imprenditore aveva riottenuto la sua libertà, pur con l’obbligo di firma. La difesa di Vidoni, fin dai primi interrogatori, come riportato dalle cronache di allora, aveva sostenuto che l’imprenditore, che nove anni fa era a capo di una realtà con quasi 400 dipendenti, si sarebbe di fatto visto “costretto” a pagare i funzionari romani infedeli per vedere onorati, almeno parzialmente, i crediti che la sua società vantava, per una serie di lavori già eseguiti (crediti, che, secondo i calcoli della difesa, ammonterebbero a circa 40 milioni), e cercare così di salvare la propria impresa. Dietro la vicenda giudiziaria, anche la cronaca della fine di una realtà imprenditoriale. Come rileva l’avvocato di Vidoni, in seguito all’inchiesta, la situazione era precipitata, come in una tempesta perfetta, perché l’imprenditore si era visto da un lato sospendere i pagamenti da parte dell’Anas e dall’altro aveva assistito alla risoluzione degli appalti in essere con l’azienda che per conto del ministero gestisce la rete stradale e autostradale, perché non riusciva a mantenere i tempi previsti. Vidoni aveva quindi chiesto il concordato preventivo, ma non era riuscito ad ottenerlo. Quindi, era arrivata la pagina più buia per la già florida realtà imprenditoriale friulana.
Secondo l’avvocato Ponti, all’esito del processo, resta anche l’amarezza per un’azienda che, se non si fosse innescato questo “cortocircuito” per dei presupposti che poi la sentenza ha ritenuto non sussistenti, si sarebbe potuta salvare. «Il fallimento si sarebbe evitato se ci avessero pagato per tempo non facendo il concordato». «A questo punto ci riserviamo di leggere la sentenza e di attivare azioni di tutela per rivalerci dell’ingiustizia subita», dice Ponti. Ritenuta a questo punto dal difensore «pacifica la richiesta di riparazione per l’ingiusta detenzione e la richiesta di risarcimento verso le persone che hanno costretto Vidoni a pagare».

Ultimo aggiornamento: 07:10 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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