PADOVA - Dovevano rimanere fermi di fronte alla porta bronzea di palazzo Bo, chiusa (come gli altri cancelli) per impedire ai manifestanti di entrare nei cortili dell’Università. Invece non solo si sono mossi, prima verso la porta laterale di via San Francesco e poi verso l’ingresso principale di via VIII febbraio, ma per due volte hanno tentato di sfondare il cordone del II Reparto Mobile schierato a difesa dell’ateneo. Per tutto questo una decina di membri del collettivo Catai verrà denunciata in Procura: resistenza a pubblico ufficiale e manifestazione non annunciata, in pratica l’articolo 18 del Testo unico sulla pubblica sicurezza.
LE TELECAMERE
Quanto successo martedì all’esterno del Bo - mentre in Senato accademico era in corso la votazione di una mozione (poi bocciata) con la quale si chiedeva all’Università di sospendere la collaborazione scientifica con gli atenei di Israele - è stato ripreso minuto per minuto dagli agenti di piazzetta Palatucci. Immagini che fin da subito sono diventate il perno del lavoro di riconoscimento di quanti avevano partecipato alla chiamata in piazza da parte del Catai, nella scia delle manifestazioni pro-Palestina che per tutta la settimana hanno tenuto banco nella vita degli atenei italiani. La polizia ha identificato in tutto una settantina di manifestanti, definendo ruoli e comportamenti precisi durante quello che era annunciato come un sit-in statico davanti all’ingresso del cortile nuovo del Bo, e invece si è trasformata in una vera e propria protesta.
I TENTATIVI
Per due volte, martedì, gli studenti e gli attivisti del Catai hanno tentato di entrare nel palazzo simbolo del sapere padovano.
IL COLLETTIVO
«Non accettiamo la militarizzazione con cui Palazzo Bo è stato blindato durante il Senato accademico - afferma Sebastiano Dorich di Spazio Catai - In quanto studenti avevamo il diritto di entrare nella nostra università e far valere le nostre istanze. I tafferugli che si sono sviluppati sono responsabilità della questura e dell'università, non certo di chi, come noi - aggiunge Dorich - non è più disposto a sopportare la complicità del nostro paese nel genocidio del popolo palestinese».
Lo schieramento di una cinquantina di agenti era motivato dal rischio che gli antagonisti occupassero il rettorato, come successo giorni prima a Napoli: «Una preoccupazione inesistente - conclude -. Non volevamo occupare, ma solo presenziare al Senato per confrontarci democraticamente e in modo pacifico con la Rettrice e i senatori».