Netanyahu e Sinwar, i due nemici giurati costretti a remare contro la tregua nella Striscia

Per il capo di Hamas nella Striscia, gli ostaggi sono stati per lungo tempo l’unica garanzia che Israele non entrasse a forza nella sua roccaforte

Mercoledì 1 Maggio 2024 di Lorenzo Vita
Netanyahu e Sinwar, i due nemici giurati costretti a remare contro la tregua nella Striscia

Uno nascosto nei tunnel della Striscia di Gaza, forse in quella Rafah che attende il proprio destino. L’altro in Israele, sotto pressione interna ed esterna. Yayha Sinwar e Benjamin Netanyahu arrivano alla resa dei conti con la consapevolezza di chi sa di essere a un momento di svolta.

Ma ci arrivano con le idee poco chiare e con diverse opzioni. Ognuna con delle ottime motivazioni, ma anche con effetti negativi che possono rivelarsi disastrosi per sé stessi. Armi a doppio taglio che hanno accompagnato la leadership dei due dall’inizio della guerra.

IL PIANO

Per Sinwar, il capo di Hamas nella Striscia, gli ostaggi sono stati per lungo tempo l’unica garanzia che Israele non entrasse a forza nella sua roccaforte. Un’assicurazione sulla vita facendosi scudo con rapiti e popolazione civile, mentre i miliziani resistevano tra gallerie ed edifici civili. Il leader palestinese ha prolungato il più possibile il conflitto per piegare lo Stato ebraico a un accordo vantaggioso per Hamas. Con l’inizio del Ramadan, gli analisti israeliani hanno pensato che il suo obiettivo fosse attendere l’esplosione di un conflitto regionale. Questo scenario ha rischiato di concretizzarsi con l’escalation tra Tel Aviv e Teheran. Inoltre, Sinwar pensa ancora di avere il controllo della situazione. Come ha scritto il Jerusalem Post, gli ultimi razzi verso lo Stato ebraico anche dal territorio libanese servono a far vedere che i miliziani possono ancora agire con disinvoltura. E secondo il Post, i vertici di Hamas «vogliono creare le condizioni per un’insurrezione di basso livello e di bassa intensità a Gaza», visto che da quando le truppe israeliane hanno abbassato l’intensità del conflitto, i miliziani sono tornati ovunque e in silenzio. Una mossa velenosa che per il loro leader serve ad avere ancora un’arma strategica. Specialmente ora che Hamas e Fatah si sono incontrate a Pechino e sono tornate a parlarsi. Netanyahu ha aumentato la pressione su Rafah, che rimane il suo modo per avere l’appoggio interno.

I RISCHI

Carri armati e aerei aspettano solo il via libera. Ma a differenza del nemico, Bibi deve fare i conti con una pressione interna ed esterna molto più complessa. Joe Biden ha fatto intendere di volere una tregua, anche frenando le accuse della Corte penale su Israele. E di questo input, Netanyahu deve prendere atto, così come deve osservare le mosse di Benny Gantz, che da dentro il governo spinge per un accordo in attesa di strappargli lo scettro in caso di elezioni anticipate. Le piazze sonoo in fermento, unendo i familiari degli ostaggi con l’opposizione. Ma allo stesso tempo, la destra radicale ha mandato avvertimenti chiari. Ieri, il ministro per la Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, ha detto che Bibi gli «ha promesso che Israele andrà a Rafah, che la guerra non finirà e che non ci sarà un accordo sconsiderato». Mentre il suo collega delle Finanze, Bezalel Smotrich, ha detto che chiunque «contribuirà» a un accordo come quello dell’ultimo round «non merita di essere considerato il suo leader». Per Netanyahu è una scelta difficile, complicata anche dal rischio che si infiammino altri fronti come il Libano. Ma più si avvicina il regolamento di conti con Sinwar, più si restringe la possibilità di fare andare d’accordo tutte le parti. Bibi sa che dovrà scontentare qualcuno. Ma la scelta è tra la maggioranza o l’alleanza con gli Usa. Un accordo per riavere gli ostaggi o una battaglia furiosa che rischia di essere un disastro umanitario e la tomba degli ultimi rapiti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA