Gaza, pronto il pontile degli aiuti: li distribuirà l’Onu. Sanzioni ai soldati dell’Idf

Lavori quasi ultimati dagli americani, la struttura sarà operativa già a maggio

Lunedì 22 Aprile 2024 di Lorenzo Vita
TOPSHOT - A Palestinian man wait for news of his daughter as rescue workers search for survivors under the rubble of a building hit in an overnight Israeli bombing in Rafah, in the southern Gaza Strip, on April 21, 2024 amid the ongoing conflict...

Joe Biden sa che nella guerra a Gaza è in gioco la leadership Usa in Medio Oriente.

Ma il lavoro del presidente Usa appare sempre più quello di un equilibrista, in bilico tra l’alleanza con Israele e la strategia per frenare la crisi umanitaria nella Striscia. I dati sulla situazione a Gaza sono allarmanti. A metà marzo gli esperti delle Nazioni Unite ritenevano possibile l’esplosione di una carestia tra fine aprile e metà maggio. E secondo Usaid, l’agenzia Usa per gli aiuti umanitari, già ora è possibile parlare di carestia in alcune aree dell’exclave palestinese. La malnutrizione falcidia soprattutto bambini appena nati e donne incinte. E ora, con la possibile operazione israeliana su Rafah, l’allarme risuona anche in vista di un nuovo esodo di centinaia di migliaia di profughi.

IL PROGETTO

Per evitare il disastro, l’amministrazione Biden preme da mesi sul capo del governo israeliano Benjamin Netanyahu per sbloccare gli aiuti via terra. E nel frattempo, ha approvato con i partner occidentali e arabi il piano per il corridoio marittimo. Un progetto che prevede l’arrivo degli aiuti su un molo realizzato dalle forze Usa a largo di Gaza, collegato alla costa con una strada galleggiante. I lavori proseguono senza sosta, anzi sono praticamente conclusi, nonostante le mille difficoltà di un Medio Oriente infuocato e gli impegni delle navi Usa per difendere Israele dai missili e i droni dell’Iran. Secondo i militari americani, il molo dovrebbe essere terminato entro fine mese ed entrare in funzione alla metà di maggio. E per poter sfruttare al meglio questa infrastruttura Washington ha appena concluso un accordo con il World Food Programme, l’agenzia dell’Onu che ha sede a Roma e che si occuperà della distribuzione degli aiuti all’interno della Striscia. Un elemento cruciale per la riuscita del progetto. Perché se la struttura può essere realizzata dalle forze Usa, Casa Bianca e Pentagono hanno giurato che nessuno soldato americano metterà piede sulla costa di Gaza. Costringendo così tutti a pensare a un piano per distribuire del cibo e degli altri beni essenziali che sia il più possibile sicuro. Protetto dagli assalti della popolazione, dalle mire dei miliziani di Hamas, ma anche da eventuali errori di calcolo compiuti dalle Israel defense forces, come avvenuto nella strage di volontari della World Central Kitchen. Per Washington non è stato un negoziato facile. Come spiegato dalle fonti della Cnn, Onu e ong varie erano scettiche sull’unirsi a un progetto visto come “partner” delle Idf e in cui è alto il pericolo di finire sotto le bombe. Ma alla fine ha prevalso il pressing Usa, mentre proseguono i lavori per un altro corridoio parallelo di aiuti (privato) gestito dalla società Fogbow.

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L’EMERGENZA

Per Biden, fresco di via libera agli aiuti militari (anche) per Israele, è essenziale chiudere i lavori il prima possibile. Perché il governo di Tel Aviv è sempre più convinto di dover accelerare la guerra ad Hamas. Ieri, il capo di stato maggiore Herzi Halevi ha approvato i piani per la «continuazione della guerra». E in un messaggio diffuso per la vigilia della Pasqua ebraica, Netanyahu ha mandato un nuovo avvertimento: «Nei prossimi giorni, aumenteremo la pressione militare e politica su Hamas: è l'unico modo per liberare gli ostaggi e raggiungere la vittoria». Per il premier «tutte le proposte per il rilascio dei nostri ostaggi sono state respinte» e per questo saranno assestati ad Hamas «ulteriori e dolorosi colpi». Nel mirino c’è Rafah. I preparativi per l’offensiva sono frenetici e gli aerei israeliani colpiscono da giorni con maggiore intensità la città dove sono fuggiti più di un milione e mezzo di civili e anche gli ultimi battaglioni di Hamas. Secondo le fonti locali, i raid della scorsa notte hanno provocato 22 morti. E il leader dell’organizzazione, Ismail Haniyeh, ha chiarito che «se il nemico sionista entra a Rafah, il popolo palestinese non alzerà bandiera bianca» e che i miliziani sono pronti a resistere. Washington non vuole che la situazione sfugga di mano. Ma con i negoziati fermi e la volontà israeliana di dare una svolta al conflitto, la strada appare tracciata. Biden e il segretario di Stato, Anthony Blinken, stanno provando a convincere Netanyahu, sperando che non ascolti l’ala più radicale del suo governo. E da Washington arrivano segnali sempre più chiari. Ieri, è trapelata la notizia di un piano Usa per sanzionare il battaglione Netzah Yehuda, accusato di gravi violazioni dei diritti umani in Cisgiordania (dove ieri, nel campo profughi di Nur Shams, si è conclusa un'operazione militare di 50 ore che ha visto la morte di 14 palestinesi). Per l’esercito israeliano si tratterebbe di un colpo durissimo. Ma lo sarebbe soprattutto per Netanyahu, che ha già bollato l’ipotesi come «il massimo dell'assurdità e un basso livello morale». Anche il leader dell’opposizione Benny Gantz ha chiesto agli Usa di ripensarci. Ma l’avvertimento è arrivato forte e chiaro alle orecchie di Bibi. E ha ricordato ancora una volta la difficile condizione di Biden: diviso tra l’asse con Israele, le pressioni interne e la frustrazione per una guerra che sembra fuori dal suo controllo.

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