È il grande accusatore, le sue parole pesano come macigni sulla sorte dell’intera famiglia.
I VERBALI
Ora potrebbe cambiare tutto. Il collegio, accogliendo l’istanza delle difese, ritiene inutilizzabili tutte le dichiarazioni fatte fin qui dal ragazzo contro lo zio Danish Hasnain, accusato con i cugini Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq, con il padre Shabbar Abbas e la madre Nazia Shaheen, sempre latitante. Non solo. L’ordinanza è stata trasmessa alla Procura dei minori di Bologna, Ali è diventato un testimone assistito perché ipoteticamente indagato in un procedimento connesso e nella prossima udienza potrà avvalersi della facoltà di non rispondere, depotenziando così l’impianto accusatorio. Non sono infatti emerse prove concrete della presenza dello zio e dei due cugini nel casolare abbandonato dove Saman è stata seppellita dopo essere stata strangolata, né ci sono telecamere che la inquadrano mentre viene uccisa, però ci sono i racconti di Ali che inchiodano i suoi familiari.
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E che dal punto di vista processuale non valgono più nulla. La Corte d’Assise ha annullato le sue dichiarazioni da persona informata sui fatti del 12, 15 e 21 maggio 2021, sia quanto riferito nel corso dell’incidente probatorio del 18 giugno che ha cristallizzato le accuse. Ali ha ripercorso l’ultima sera trascorsa da Saman a casa, a lui ha confessato in lacrime l’omicidio lo zio Danish, rientrato dai campi in piena notte. All’epoca di quei verbali, tuttavia, avrebbe dovuto avere accanto un avvocato, poiché era indagato per violenza privata: l’ipotesi era che volesse costringere la sorella a tornare in Pakistan.
Tre giorni prima dell’incidente probatorio l’accusa è stata archiviata, secondo i giudici però sussistevano elementi a suo carico non sufficientemente approfonditi che avrebbero dovuto indurre, anche a sua garanzia, a iscriverlo nel procedimento principale per omicidio. «Con questa decisione non si intende in alcun modo formulare addebiti a carico del dichiarante - ha rimarcato il giudice Emilia Cristina Beretti - ma assicurargli prerogative che sarebbero a lui spettate dal principio». Il suo ipotetico «concorso morale» nella morte della sorella consiste nell’aver mostrato ai familiari, la sera del delitto, i messaggi tra Saman e il fidanzato. E disse anche che lo zio, prima dell’esecuzione, gli consigliò di rientrare in casa per non essere ripreso dalle telecamere. Per la Corte si tratta di particolari che avrebbero dovuto essere vagliati in modo più attento, anche in considerazione della posizione delicata di Ali.
PRESSIONI
La Procura di Reggio Emilia indaga infatti su minacce a lui arrivate dal Pakistan affinché ritratti o eviti di testimoniare al processo, pressioni che in realtà sono cominciate poco dopo la morte della sorella. In una telefonata del 14 giugno il padre Shabbar tenta di convincere il figlio a gettare la colpa su un altro parente: «Tu devi dire che Danish e gli altri non hanno nessuna colpa, quello è venuto a casa nostra e ha detto ci penso io ad ammazzarla. Dobbiamo incastrare questo qua». Il giorno successivo la madre Nazia prova a convincerlo che Saman non è morta: «Ascoltami, tua sorella è qui. Dio farà il bene e verrà ritrovata. Lei tornerà». Ali non cede: «Se non c’è più mia sorella non dovrò vivere nemmeno io. Lei non c’è, non dire cose sbagliate». Adesso un pezzo importante dell’accusa rischia di andare in frantumi. «Haider è il testimone oculare di questa vicenda, ha riferito di avere visto lo zio mettere la mano sulla bocca di Saman», afferma l’avvocato Barbara Iannuccelli, difensore del fidanzato della diciottenne. «Tutte le sue dichiarazioni vengono dichiarate inutilizzabili, quindi si deve ripartire da zero se Haider dovesse decidere di rispondere. Da zero dobbiamo ripercorrere tutta quella notte, i giorni successivi. Io spero che il ragazzo ce la faccia».